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Gritti e Manzù

Angelo Gritti e Giacomo Manzù, rispettivamente classe 1907 e 1908, sono cresciuti insieme in contrada Sant’Alessandro a Bergamo. Entrambi gli scultori frequentarono la Scuola d’arte applicata Andrea Fantoni anche se in anni diversi: Manzù risulta iscritto tra il 1923 e il 1924 nella sezione di plastica, mentre Gritti tra il 1919 e il 19201 in quella di intaglio. Trasferitosi a Milano nel 1934, Manzù non interruppe i rapporti con l’ambiente bergamasco: in quegli anni comprò un grosso terreno sulla collina che sale verso la città alta e vi fece costruire una grande villa, progettata dall’architetto Giuseppe Pizzigoni. Alla fine degli anni Cinquanta si trasferì a Roma per realizzare il ritratto di papa Giovanni XXIII, ma i rapporti con Bergamo ed in particolare con i Gritti continuarono senza interruzione fino al 1983: la malattia che colpì l’artista provocò un diradarsi dei contatti. Manzù morì ad Ardea (Roma) il 18 gennaio 1991. Eugenio ricorda diversi progetti che avrebbero dovuto compiere insieme e dei quali conserva ancora gli appunti presi durante i colloqui con l’amico.
Gli arredi in collaborazione
I mobili Lampugnani
Risale agli anni 1947-1948 la prima collaborazione tra Angelo e Manzù,
quando quest’ultimo si appoggiò alla bottega per realizzare l’arredamento di una
villa a San Remo di proprietà della famiglia Lampugnani, industriali milanesi.
Nella bibliografia sull’artista gli accenni a questo lavoro sono piuttosto scarsi.
Solo nel catalogo della mostra “Manzù” tenuta a Milano nel 1988 si fa riferimento a una «serie molto interessante di “oggetti” d’arte applicata, realizzati da Manzù sia per la casa milanese di corso Venezia, sia per la villa dei Lampugnani a San Remo».Per quest’ultima Manzù progettò l’arredamento completo: eseguì i disegni dei mobili le cui parti lignee vennero realizzate a quattro mani nella bottega di Angelo. Eugenio si ricorda di un attaccapanni in legno a forma di albero, i cui i rami ospitavano dei piccoli passeri. Per l’arredamento del salotto Manzù disegnò un tavolo da fumo con piano di cristallo, di cui rimane una fotografia posseduta da Eugeni). Angelo realizzò la base costituita da un fascio di tre rami in legno di noce scolpito e lucidato a cera, tenuto insieme da un’armatura in ferro nascosta all’interno. Intorno al fascio, una fune realizzata con fili di bronzo dallo scultore, sbalzatore ed orafo Attilio Nani, dava l’impressione di legare i rami con un grande nodo. Manzù progettò anche le mensole da parete in vetro sostenute da sostegni a forma di rami di corallo: Angelo scolpì i rami in legno e li dipinse con un effetto simile a quello della superficie del corallo stendendo un colore rosso, lucidato con pietra agata.

La Cappella della Pace
Nel 1961 Manzù realizzò gli arredi per la cappella dell’abitazione privata di monsignor Giuseppe De Luca, personaggio di spicco e promotore della vita culturale romana di quegli anni . A differenza degli arredi Lampugnani, di questo lavoro rimane una documentazione più ricca. La cappella è menzionata per la prima volta in una lettera del 30 novembre 1960 scritta da De Luca al segretario di Papa Giovanni XXIII, monsignor Loris Francesco Capovilla. In un manoscritto datato 19 marzo 1961 Manzù scriveva:
Dall’elenco mancano gli elementi d’arredo in legno: l’altare, il leggio da tavolo, i quattro inginocchiatoi con le relative panche, l’edicola del tabernacolo, alcune sedie. L’altare è citato da Manzù in un lettera datata 6 febbraio 1961 scritta da Milano e indirizzata a De Luca:
Manzù, quindi, stava lavorando all’altare, che in quel periodo infatti si trovava a Bergamo nella bottega dei Gritti. Eugenio ricorda che suo padre ricevette i progetti da Manzù. Angelo fece eseguire da Franco Zanchi, che in bottega si occupava di lavori di falegnameria, l’altare in ebano: una grande piramide rovesciata poggiante su un basamento in larice con intarsi in ebano a massello creati da Eugenio e raffiguranti motivi di rami intrecciati. All’interno della piramide e della base, un’armatura in acciaio permetteva alla mensa dell’altare di avere come unico punto di appoggio la punta della piramide. Gli inginocchiatoi, invece, sono citati da Mariano Apa che ricorda essere stati eseguiti a Bergamo su progetto di Manzù , senza specificarne gli autori: per essi Eugenio realizzò degli intarsi sui poggiagomiti raffiguranti uno scheletro, un mascherone, una rondine e il taglio del pane. Delle decorazioni con il taglio del pane e con lo scheletro rimangono due disegni dipinti a tempera realizzati da Manzù, di proprietà dei Gritti. A Bergamo vennero inoltre eseguiti il leggio poggiante su quattro piedi a forma di piramide rovesciata, le quattro panchette dalle linee molto semplici e le sedie. Delle fasi di realizzazione di questi importanti lavori, purtroppo, non rimane documentazione fotografica. Per l’analisi stilistica della cappella, si rimanda alla bibliografia relativa. In questa sede vorrei invece parlare di altri episodi inerenti la storia di questi arredi in cui la bottega Gritti venne coinvolta da Giacomo Manzù. Come si deduce dal carteggio tra Manzù e Capovilla e dai diversi scritti su quest’opera, la morte di De Luca, il 19 marzo 1962, segnò l’inizio di quello che Capovilla definì l’«itinerario della cappella». Inizialmente l’artista donò gli arredi a Papa Giovanni che pensò ad una provvisoria collocazione in una sala del Cortile di San Damaso. Il trasferimento non poté essere effettuato ma, incomprensibilmente, in nessuna fonte viene specificato il motivo.
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Dopo la morte del pontefice (3 giugno 1963), Manzù offrì la cappella a monsignor Capovilla che invece gli suggerì di farne dono alla Casa di Papa Giovanni a Camaitino di Sotto il Monte (Bergamo). Eugenio Gritti, accompagnato da Franco Zanchi e su indicazione di Manzù, andò a Roma nella casa di De Luca per smontarla e consegnarla al trasportatore. Prima di essere trasferita a Camaitino, gli arredi vennero sistemati nella bottega dei Gritti poiché occorrevano delle modifiche in vista della nuova collocazione. Terminati i lavori, gli arredi vennero presi in consegna da Suor Angela Francoli, superiora dell’Istituto delle Suore delle Poverelle, custodi della Casa di Papa Giovanni. Per l’allestimento di Camaitino vennero chiamati dei tappezzieri da Roma affinché installassero un tendaggio che facesse da fondale e da capocielo alla cappella. Nella fotografia che ritrae tale allestimento si può osservare che le sedie non ci sono, mentre è ancora presente il messale in ebano di cui, attualmente, si sono perse le tracce. Il 3 febbraio 1969 monsignor Pasquale Macchi, a nome di Paolo VI chiese a monsignor Capovilla di favorire il trasferimento degli arredi in Vaticano. Manzù, interpellato da Capovilla, acconsentì ponendo alcune condizioni. Per il trasporto degli arredi a Roma, la cappella venne smontata ancora una volta da Eugenio. Nel 1973, in occasione dell’inaugurazione effettuata da Paolo VI della Collezione di Arte Religiosa Moderna dei Musei Vaticani, Manzù si occupò personalmente dell’allestimento. Donò ufficialmente tutti gli arredi della cappella ai Musei Vaticani dedicando tale gesto a Giovanni XXIII e a Paolo VI e intitolò l’opera Cappella della Pace.
Il Mobile dell’Amore e il Mobile della Pace
Nel 1977-1978 Eugenio eseguì gli intarsi su due mobiletti a pianta triangolare che Manzù aveva fatto realizzare a Roma per la sua abitazione. L’artista fornì dei disegni in bianco e nero e il soggetto delle decorazioni. Nel primo, chiamato Mobile dell’Amore, ogni faccia laterale fu decorata con rami di vite; il piano d’appoggio con due figure di amanti . Nel Mobile della Pace, le facce vennero intarsiate con motivi di rami d’ulivo; il piano, con la falce e il martello, simboli del lavoro. Sulla parete interna dell’anta Manzù volle che fosse inserita la scritta GIACOMO MANZU’/ COLLABORAZIONE EUGENIO GRITTI.
Le sculture in collaborazione
Dagli anni Cinquanta Angelo e, successivamente, Eugenio furono autori delle versioni in legno delle sculture di Manzù. Grande sperimentatore, spesso replicava le sue opere apportando delle variazioni non solo al modellato, ma anche alle dimensioni e ai materiali. Manzù apprese la tecnica della scultura in legno alla Fantoni e presso la bottega di scultori, intagliatori e doratori fondata da Achille Manzoni a Bergamo.
Nel 1933 eseguì infatti una Madonna della povertà in legno dipinto. Non si è a conoscenza di altre opere in legno realizzate personalmente da Manzù: egli forniva il modello in gesso ad Angelo e Eugenio i quali realizzavano la copia in ebano. Materiale costosissimo molto amato dall’artista, veniva acquistato dai Gritti nei mercati Lombardi, o se ne necessitavano grossi quantitativi, in quelli francesi: a Sainte Adresse, nei pressi di Le Havre, era infatti possibile acquistare a prezzi inferiori di quelli italiani l’ebano proveniente dal Gabon, scurissimo e molto apprezzato da Manzù anche per la sua somiglianza al bronzo.Per meglio comprendere questa collaborazione durata più di trent’anni tra la bottega dei Gritti e Manzù è opportuno fare una puntualizzazione sulla tecnica impiegata da Angelo per la realizzazione delle sue sculture lignee perché è la stessa che Angelo e Eugenio impiegarono per realizzare alcune opere di Manzù.
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La tecnica scultorea di Angelo
Mentre la tecnica della scultura lignea antica a tutto tondo prevedeva che l’artista scolpisse un blocco di legno ricavato dal tronco di un albero cui venivano aggiunte eventuali parti aggettanti, Angelo Gritti, in linea con le tecniche scultoree del Novecento, per la realizzazione delle sue opere costruiva il blocco ligneo da scolpire attraverso la sovrapposizioni di masselli di legno, dello spessore di cinque centimetri circa, incollati inizialmente con colla a freddo a base di caseina, poi con colla vinilica. Il numero e la forma dei masselli veniva 20 stabilito attraverso lo studio in scala di un bozzetto in argilla. Questo veniva steso e bloccato su un foglio quadrettato per tracciarne il profilo. Il bozzetto era poi diviso idealmente in quattro o cinque parti con linee parallele alla base: tali suddivisioni erano riportate anche sul foglio, insieme alla mezzeria del profilo perpendicolare alla base. A questo punto in funzione del tipo di legno scelto si decideva lo spessore dei masselli da utilizzare che variava da 5 a 7 cm. Quest’ultima misura serviva per suddividere ulteriormente il bozzetto con linee perpendicolari alla base: queste, parallele tra di loro si trovavano a una distanza tra loro pari alla misura in scala dello spessore dei masselli che si sarebbero utilizzati.
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L’intersezione tra le linee A e B determinava così i punti di giunzione dei masselli: per tali motivi occorreva fare attenzione a non tracciare linee in corrispondenza di punti significativi della scultura, quali gli occhi per esempio. A tutte le linee, riportate sul foglio con colori diversi, era assegnato un numero. Linee A, B e profilo esterno del bozzetto venivano a loro volta riportate su un foglio di carta da spolvero, nell’ordine di grandezza che la scultura avrebbe dovuto avere. Questa lettura tridimensionale permetteva di definire il numero esatto e la forma dei masselli costituenti i vari piani in cui era stata suddivisa la scultura. Una volta creato il blocco attraverso l’incollaggio di tutti i masselli, Angelo lo scolpiva guardando il bozzetto. Alcune delle sue sculture sono dipinte, il altre il legno è lasciato a vista. La discriminante tra le due tipologie era la committenza: i parroci, ad esempio, richiedevano le statue dipinte . Il colore veniva applicato da Angelo, Eugenio o dai Dossena. Come si è detto, Giovanni Dossena, doratore di professione, era affiancato dal figlio Giuseppe che eseguiva le decorazioni a graffito sull’oro. Oltre all’oro, la bottega era specializzata nella pittura delle statue con colori a tempera e a olio. Tra le sculture di Angelo site in provincia di Bergamo, le Pietà di Suisio e di Zandobbio, il San Giuseppe col Bambino di Crespi d’Adda furono
dipinte da Angelo; Eugenio dipinse per il padre il Sant’Omobono nell’omonima
città e il Sant’Andrea di Fino del Monte; i Dossena invece dorarono la Madonna di Corna di Darfo e dipinsero e dorarono l’Assunta di Locatello. Angelo amava il legno a vista ma non disdegnava il colore. Quando poté essere più autonomo nelle scelte realizzò alcune sculture dipinte con colori tenui e trasparenti per far intravedere il legno sottostante come il San Giorgio e il drago di Endine Gaiano; altre sculture, invece, furono solamente velate con colori misti a cera, stesi direttamente sul legno, come nel Sacro Cuore di Gazzaniga. Tra le opere in legno non dipinto particolarmente belle sono il gruppo della Crocifissione di San Tomaso a Bergamo, la Madonna di Lourdes a Romano di Lombardia e il Beato Papa Giovanni XIII conservato a Bergamo in collezione privata.
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Le sculture per Manzù
Per la realizzazione delle copie in legno delle sculture di Manzù le fasi di studio dei volumi e di preparazione del blocco scultoreo erano identiche a quelle eseguite da Angelo per le sue opere, con la sola differenza che generalmente il rapporto tra il modello fornito dall’artista sottoforma di scultura in gesso e l’opera lignea finale era di 1:1. Per quasi tutte le sculture, il blocco era costituito da masselli di ebano assemblati: l’ebano era venduto in commercio sottoforma di tronchetti irregolari. Le copie erano poi realizzate attraverso la tecnica della “messa ai punti”, tipica della scultura “per via di levare”. Le misure dal modello al blocco venivano riportate partendo dai punti più sporgenti mediante il metodo della crocetta, che sostituì a partire dall’Ottocento quello del filo a piombo usato fin dall’antichità. I Gritti applicavano la crocetta su un telaio fissato alla sommità e alla base del gesso attraverso fori; questi poi dovevano essere replicati sul blocco di legno per apporvi un secondo telaio identico al primo. La trasposizione delle misure dal gesso al legno avveniva applicando la macchinetta sull’uno e l’altro telaio: dopo aver stabilito un punto sul modello in gesso sul quale effettuare una prima misurazione, si spostava lo strumento e si andava a cercare lo stesso punto sul legno, asportando la materia in eccesso.
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Seguiva una prima fase di sgrossatura della superficie. Misurazioni successive prese sul modello in punti progressivamente più vicini tra loro permetteva la corrispondenza perfetta tra modello e opera finita. Angelo lasciava sempre sul massello uno spessore di circa due millimetri per poter definire al meglio i particolari con sgorbie o sparse. Poiché Manzù amava le superfici lisce al tatto, legni duri come l’ebano erano sottoposti a lunghi trattamenti affinché le superfici sembrassero avorio nero. Per tali motivi le sculture venivano rifinite con raspette che, oltre a lisciare il legno, eliminavano i segni dei ferri di intaglio. Successivamente lame in acciaio eliminavano a loro volta i segni lasciati dalle raspe. Le superfici venivano infine lisciate con carta vetrata di grana sempre più fine. Manzù difficilmente permetteva che dal suo studio uscissero modelli, disegni e gessi necessari per la realizzazione delle copie in legno. Per tali motivi la maggior parte delle opere venne realizzata dai Gritti negli studi dell’artista, a Bergamo, Milano, Roma e Ardea. In nessun testo relativo all’opera di Giacomo Manzù si fa riferimento esplicito all’attività dei Gritti fino ad ora descritta. Di questa collaborazione rimangono solamente le fotografie in cui Eugenio è ripreso mentre sta lavorando alle sculture in legno di Manzù, alcuni documenti conservati in bottega (lettere, telegrammi, ricevute di pagamento) e qualche articolo di giornale. Per tali motivi, la ricostruzione di questa particolare attività della bottega è stata realizzata quasi esclusivamente sulla base dei ricordi di Eugenio. La prima opera che Angelo realizzò per Manzù fu la Grande pattinatrice in ebano, iniziata probabilmente nel 1957, ora in collezione privata. Eugenio ricorda che al suo ritorno dal servizio militare nel 1958 Angelo la stava terminando nello studio milanese di Manzù, in via Frascati; la lisciatura della superficie venne affidata a Eugenio. Al 1964 risalgono le due statue intitolate Maternità anch’esse in ebano. Per queste Manzù non fornì il modello in gesso : venero scolpite ad Ardea nello studio dell’artista che, pezzo per pezzo, dava indicazioni su quale aspetto l’opera avrebbe dovuto avere. Secondo i ricordi di Eugenio, la Maternità in cui il bambino si appoggia alle ginocchia della madrevenne esposta a Mosca nel 1966 al Palazzo delle Arti; attualmente non si conosce la sua ubicazione. L’altra Maternità, in cui una donna tiene il bambino in braccio, risulta con certezza esposta a Mosca nel 1966 ed è conservata a Palazzo Montecitorio nella Camera dei Deputati. Eugenio Gritti nel 1985 si recò a Roma a restaurarla su incarico di Manzù.
Dai ricordi di Eugenio e da una serie di articoli su alcuni quotidiani dell’epoca si apprende che il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, durante una visita alla Camera dei Deputati, segnalò al Presidente della Camera Nilde Jotti lo stato di conservazione non buono dell’opera. Interpellato dalla Jotti Manzù fece il nome di Eugenio Gritti, che seguì il trasporto dell’opera ad Ardea dove la restaurò. Nell’archivio dei Gritti è conservata tutta la documentazione relativa a questo lavoro tra cui una lettera datata 18 Febbraio 1985. dell’addetto stampa del Presidente della Camera, Giorgio Frasca Polara che, entusiasta del lavoro svolto, fece avere a Eugenio la rassegna stampa relativa all’intervento. Della medesima data è anche una lettera in cui Nilde Jotti si complimenta per lo «splendido lavoro». Al 1966 risale il primo dei Cardinali - soggetto molto amato dall’artista - che i Gritti fecero in legno; a differenza delle versioni successive, in esso il corpo è totalmente avvolto dal piviale. Nel 1967 Angelo e Eugenio realizzarono per Manzù la copia in ebano della Ninfa in bronzo che, assieme al Fauno, costituisce il gruppo scultoreo della Fontana di Detroit (1963). La intitolò Donna distesa, e di essa il maestro disse:
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Non tutte le sculture per Manzù vennero realizzate con la tecnica che Angelo utilizzava per costituire il blocco scultoreo. Per realizzare Donna distesa, Donna che guarda e Guantanamera, ad esempio Angelo, con la collaborazione di Eugenio, assemblò il blocco senza effettuare lo studio preventivo dei volumi, ma basandosi su misurazioni di massima effettuate durante i viaggi a Roma. Per queste opere, infatti, il lavoro venne diviso tra Bergamo e la Capitale: Angelo a Roma effettuava un disegno del modello; tornato a Bergamo, iniziava la costruzione approssimativa del blocco che poi veniva spedito a Roma, dove sarebbe stato poi scolpito in presenza del gesso. Questo procedimento, sicuramente più impreciso dell’altro, permetteva tuttavia di abbreviare i tempi di realizzazione, poiché la sola costruzione del blocco con masselli numerati richiedeva almeno una quindicina di giorni. Per la fase scultorea Angelo e Eugenio si alternavano al lavoro nello studio di Manzù. Nel 1969 i Gritti eseguirono per Manzù la copia in ebano con alcune varianti della Grande Chiave, creata dall’artista nel 1967. Vennero quindi realizzati i due Cardinali, alti cm 40 circa, posti alla sommità della chiave; il fusto in legno completamente liscio contrastava con la base dalla superficie semplicemente pulita a scalpello.
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L’opera, di cui non si conosce la collocazione, non compare in nessuna monografia dedicata all’artista. Lo stesso accade per la copia in ebano di un Cardinale (1980) alto poco più di un metro di cui Manzù fornì il modello in gesso. Dalle fotografie di quest’ultimo si osserva che, a differenza della scultura di identico soggetto del 1966, in questa versione del Cardinale le mani fuoriescono dall’ampio piviale. Dalla metà degli anni Settanta Eugenio, ormai affermato restauratore, difficilmente poté lasciare la bottega per lunghi periodi per recarsi a Roma. Per tali motivi Manzù gli consentì di poter tenere i gessi in bottega a Bergamo. Al 1983 risale la grande figura in ebano intitolata, ancora una volta, Donna che guarda. A questa si riferisce un telegramma del 14 novembre 1983 di Manzù che recita:
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Eugenio ricorda che solo l’ebano costò 18.000.000 di Lire e che lavorò alla scultura
da giugno a novembre.I Gritti realizzarono anche due opere in cirmolo: Grandi amanti(1972-1973), eseguita per la maggior parte da Angelo, e Cardinale (1982). La
prima, mai pubblicata in nessun catalogo, venne acquistata da un privato americano, Joseph Levin. Poco dopo l’acquisto, Levin contattò Manzù dicendo che i masselli di cui era composta la scultura si stavano staccando. Manzù, pensando che il problema fosse la colla utilizzata da Angelo, chiese a Eugenio di andare a New York a occuparsi del restauro. Durante l’intervento egli scoprì che il problema non era la colla utilizzata per assemblare i masselli ma l’ambiente particolarmente secco in cui la statua era conservata. Il Cardinale non venne realizzato con la tecnica della messa ai punti perché Manzù fornì lo stesso modello in gesso che era servito nel 1980 per la realizzazione del precedente Cardinale, ma lo volle grande il doppio. Quando vide l’opera finita Manzù fece apportare da Eugenio alcune modifiche al viso e alle mani e chiese che fosse eliminata la base.
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Secondo il progetto dell’artista il Cardinale doveva essere completato da una ricca doratura in oro con disegni a girali; essa, priva di tali disegni, venne realizzata in seguito senza coinvolgere la bottega Gritti.La Ragazza in poltrona del 1984 è l’ultima opera eseguita da Eugenio per Manzù. Negli anni Ottanta, infatti il lavoro di restauratore lo impegnava totalmente. Questo fu il motivo che spinse Manzù a scrivere:
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Bottega Gritti

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